Ovvero come sopravvivere in Italia dopo aver vissuto un anno e mezzo all'estero.
18 novembre 2010
LIFE AS A BIG MONOPOLY
Dice Bruce Chatwin che le idee si generano più dal movimento, piuttosto che dallo sguardo ossessivo del foglio bianco. Ci credo ed ecco perchè, a volte, durante il giorno pensi e ti sforzi ma le cellule semplicemente se ne fregano e non mandano nessuna risposta. Mentre altre volte basta una tensione addominale, una posizione strana, sudore ed un materassino, ed ecco che il pilates finalmente oltre che al corpo serve anche alla mente.
In quella posizione ho pensato che la vita sembra un grande monopoly, il famosissimo gioco da tavolo. La questione è passare di posto in posto, cercando di concludere qualcosa, guadagnare, comprare, vendere, aspettare il giusto attimo, ma anche fermarsi nel posto sbagliato, avere culo, ri-passare dal via quando meno te lo aspetti, andare anche in prigione (figurata) per un certo pediodo di tempo e fin che salti il turno penserai che questa situazione è solo un momento di transizione, all'apertura delle porte si avranno nuove mete e nuovi progetti.
Per non parlare delle carte "imprevisti" e "probabilità", lo zio ricco che muore e ti lascia l'eredità, ma anche la sfiga di capitare sulle caselle fuxia (solo per giocatori anni 80) e pagare anche se non vuoi e/o puoi.
E' tutto un lanciare dadi e spostare pedine, mescolare carte e pianificare azioni. Puoi contare il tuo grande fatturato e sentirti padrone della partita, ma anche essere in prigione e chiederti "ma chi sta muovendo le mie pedine?".
Non ci resta altro che continuare a giocare, senza mollare mai, perchè Mr Monopoli aveva visto lungo, solo con le carte "imprevisti" e "possibilità". Questo è il gioco della quotidianità, almeno fino al prossimo lancio di dadi.
14 settembre 2010
LA STRADA E LA SCREMATURA
Diceva l'estetista, che diceva l'amica, che diceva il chirurgo che perfino lui non sa se quella che ha intrapreso, è la strada giusta per lui. E se lo dice il chirurgo, è come se fosse il prete, quindi ci crediamo.
C'è chi nella vita, sogna a 5 anni di fare l'avvocato e a 35 lo è. C'è chi sogna una strada e ne prende altre, c'è chi continuamente sbattuto di qua e di là dagli eventi, si adegua, chi si adatta, chi si rifiuta e prende quel che viene, perchè in fondo non si sa e va bene così.
Si sa solo che in questo tempo e soprattutto in questo luogo, spaghetti e mandolino, si devono accettare tantissimi compromessi, nel lavoro, nella vita a due, nel sociale. Calcoli, pianificazioni e progetti, come se si dovesse mettere in piedi una multinazionale.
Non ci si può più permettere di dire "farò il lavoro che mi piace e sarò pronta a darmi al 100x100", "se non lo troverò, proverò a fare altro" perchè per aprire un'attività ti devi indebitare fino a non dormire più, per arrivare ad una certa posizione devi continuare a mandare giù, perchè hai studiato tanto, ci hai messo anni ed ora rispondi al telefono, nessuno riconoscerà fino in fondo la tua dedizione.
Dicono che la rassegnazione sia un atteggiamento interiore, ma anche se uno non l'avesse ti verrebbe solo nel momento in cui ti apri verso l'esterno, decidi, tutto sommato, di tentare, di dare e di darti anche solo una possibilità. Perchè non è tutto da buttare, le persone non sono totalmente da evitare, c'è, sotto sotto, qualcosa da salvare.
Come quando scaldi troppo il latte e si forma quello strato sottile di panna odioso, che non vuoi bere e non sai dove buttare, si attacca al tuo cucchiaino e ti fa chiedere con cosa raccoglierai gli abbracci mulino bianco imbevuti del tuo buon latte.
Ci ho messo un paio di mesi ad arrivare a questo punto, non volevo saperne di niente e nessuno, di questo sistema, dove una ragazza sui 30 anni è un pericolo procreativo oppure è destinata a cadere nel burrone il primo giorno dopo il 30esimo anno. Avevo paura di ricaderci, ero demoralizzata e senza speranze, sognavo di guidare il quad in Nuova Zelanda e di richiamare le pecore la sera, poi ho deciso di far esplodere la mia bolla di sapone in cui stazionavo e fluttuavo nell'aria e provare a buttarmi, ancora.
C'è molto da fare, ogni giorno si devono fare scremature, per mantenere un tenore umorale costante e non farsi prendere dallo sconforto, perchè quello che io vedo intorno è davvero sconcertante.
Mi sto trovo ora anche a dare spiegazioni ad un adolescente sull'utilità di imparare l'inglese a scuola, premesso che:
a. se ne frega
b. gli fa pure schifo
Ecco io non posso convincerti come farebbero i tuoi genitori, tirarti fuori la storia dei doveri, ognuno ha il suo lavoro e cose varie universali e poco convincenti, ma per quello che ti posso dire, cerca di crearti un tuo bagaglio di base per essere libero più a lungo possibile, cerca di seguire la tua strada, fai quello che ti piace, non quello che il nonno avrebbe voluto fare ed il padre non ha fatto, nemmeno il sogno dello zio. Inizia da subito a farlo, segui dritta la tua strada, anche se non vedi la fine, potrebbe essere una brutta curva che ti fa rallentare ma potrebbe anche rivelarti un panorama meraviglioso.
Se lo farai, i compromessi che dovrai accettare saranno pochi, li sposterai sempre più in là e magari non li incontrerai mai, il latte sarà a giusta temperatura e tu non ti dovrai più preoccupare della panna indesiderata ma solo dei tuoi buoni biscotti.
C'è chi nella vita, sogna a 5 anni di fare l'avvocato e a 35 lo è. C'è chi sogna una strada e ne prende altre, c'è chi continuamente sbattuto di qua e di là dagli eventi, si adegua, chi si adatta, chi si rifiuta e prende quel che viene, perchè in fondo non si sa e va bene così.
Si sa solo che in questo tempo e soprattutto in questo luogo, spaghetti e mandolino, si devono accettare tantissimi compromessi, nel lavoro, nella vita a due, nel sociale. Calcoli, pianificazioni e progetti, come se si dovesse mettere in piedi una multinazionale.
Non ci si può più permettere di dire "farò il lavoro che mi piace e sarò pronta a darmi al 100x100", "se non lo troverò, proverò a fare altro" perchè per aprire un'attività ti devi indebitare fino a non dormire più, per arrivare ad una certa posizione devi continuare a mandare giù, perchè hai studiato tanto, ci hai messo anni ed ora rispondi al telefono, nessuno riconoscerà fino in fondo la tua dedizione.
Dicono che la rassegnazione sia un atteggiamento interiore, ma anche se uno non l'avesse ti verrebbe solo nel momento in cui ti apri verso l'esterno, decidi, tutto sommato, di tentare, di dare e di darti anche solo una possibilità. Perchè non è tutto da buttare, le persone non sono totalmente da evitare, c'è, sotto sotto, qualcosa da salvare.
Come quando scaldi troppo il latte e si forma quello strato sottile di panna odioso, che non vuoi bere e non sai dove buttare, si attacca al tuo cucchiaino e ti fa chiedere con cosa raccoglierai gli abbracci mulino bianco imbevuti del tuo buon latte.
Ci ho messo un paio di mesi ad arrivare a questo punto, non volevo saperne di niente e nessuno, di questo sistema, dove una ragazza sui 30 anni è un pericolo procreativo oppure è destinata a cadere nel burrone il primo giorno dopo il 30esimo anno. Avevo paura di ricaderci, ero demoralizzata e senza speranze, sognavo di guidare il quad in Nuova Zelanda e di richiamare le pecore la sera, poi ho deciso di far esplodere la mia bolla di sapone in cui stazionavo e fluttuavo nell'aria e provare a buttarmi, ancora.
C'è molto da fare, ogni giorno si devono fare scremature, per mantenere un tenore umorale costante e non farsi prendere dallo sconforto, perchè quello che io vedo intorno è davvero sconcertante.
Mi sto trovo ora anche a dare spiegazioni ad un adolescente sull'utilità di imparare l'inglese a scuola, premesso che:
a. se ne frega
b. gli fa pure schifo
Ecco io non posso convincerti come farebbero i tuoi genitori, tirarti fuori la storia dei doveri, ognuno ha il suo lavoro e cose varie universali e poco convincenti, ma per quello che ti posso dire, cerca di crearti un tuo bagaglio di base per essere libero più a lungo possibile, cerca di seguire la tua strada, fai quello che ti piace, non quello che il nonno avrebbe voluto fare ed il padre non ha fatto, nemmeno il sogno dello zio. Inizia da subito a farlo, segui dritta la tua strada, anche se non vedi la fine, potrebbe essere una brutta curva che ti fa rallentare ma potrebbe anche rivelarti un panorama meraviglioso.
Se lo farai, i compromessi che dovrai accettare saranno pochi, li sposterai sempre più in là e magari non li incontrerai mai, il latte sarà a giusta temperatura e tu non ti dovrai più preoccupare della panna indesiderata ma solo dei tuoi buoni biscotti.
11 luglio 2010
LAST POST ABOUT OCEANIA FROM PADANIA
Ho passato mesi ad inviare curriculum vitae a Sydney per un determinato lavoro, non avevo risposte molto positive, ricevevo feedback del tipo “scusa ma non abbiamo posizioni disponibili ora” etc etc. Così nel frattempo ho intrapreso altre strade, facendo lavori impensabili, improbabili, alcuni divertenti altri da esaurimento, perché comunque avevo come primario obiettivo il viaggio e la scoperta di quel paese che mi affascina(va) così tanto: l’Australia.
Poi il giorno in cui avevo tutte le mie valigie pronte per iniziare a viaggiare seriamente con prima destinazione Adelaide, ricevo una strana telefonata, un australiano mi chiede se sono ancora interessata a quel lavoro per cui avevo mandato il cv molto tempo prima; tento di non farmi prendere dal panico assassino e rispondo con calma esponendogli la realtà delle cose: sto per partire ed il mio visto scade tra un mese. Il gentile amico mi dice di farmi sentire nel caso ritornassi e mi augura di godermi l’Australia. Sarei poi ritornata dopo un mese ma con un biglietto prenotato per Auckland molti mesi prima.
Ora, riguardando agli eventi con il rewind, ciò può essere visto come “ecco l’occasione giusta” oppure “ecco l’occasione mancata”, ma non può essere semplicemente l’occasione? Presa oppure no, comunque c’è stata. Se tu ti muovi, qualcosa poi si smuove.
In questi ultimi mesi di piani ne ho progettati molti, compreso studiare ancora, per crescere e non fermarmi in nessun campo. Proprio questo è quello che ho imparato in questa lunga esperienza di lavoro/viaggio in Australia e Nuova Zelanda. Ho imparato a non rassegnarmi, a non vedere il futuro come unica via, a lasciarmi aperte alcune porte, riconsiderarle e metterle di nuovo da parte, costruirmi un piano A, se va male B, oppure C e perché no anche D. Avere sempre un piano, non guardare fuori dalla finestra e far scorrere i giorni senza metterci del nostro, qualcosa di vivo ogni giorno.
Poi tutto quello che ho fatto, che ho vissuto, è una bolla talmente grande dentro che per quanto la descrivi non riuscirai mai a farti capire totalmente. Quello che tengo per me, non è quanti pinguini ho visto, ma tutta una serie di azioni di vita. Ho respirato aria pura sopra i monti, dormito nelle piazzole di sosta, visto poveri che si comportavano da ricchi e ricchi che si vergognavano e volevano sembrare poveri, ho bevuto birre con un sudafricano, parlato di filosofia con un turco, condiviso gioie e sfighe con amici in un appartamento, che ormai sentivo come casa e loro come mia famiglia. Conosciuto persone tramite il blog che sono diventati alcuni dei miei migliori amici a Sydney, dato abbracci all’aeroporto credendo che tre mesi non sarebbero mai passati, dicevo di avere fiducia, ma non ne ero convinta fino in fondo, ho stretto mani, dimenticato, capito, parlato, rivisto, sperato, detto tanti vaffanculo e tanti "è meraviglioso", anche a pochi minuti di distanza, ma soprattutto ho imparato, ogni giorno ho imparato che c’è sempre un nuovo inizio, ho imparato a non limitarmi ai miei due metri quadrati ma a guardare il cielo e sentirmi parte di un mondo immenso pieno di buone offerte e commercianti che non ti truffano.
Ed ora anche rido ripensando a quelli che mi ammonivano che là fuori il mondo era pericoloso. E’ più pericoloso passare tre ore davanti alla televisione in Italia, dove da quello che vedi ti costruisci uno pseudo-mondo che non è per niente quello reale.
Eccomi qui ora, dopo un bel po’ di mesi fuori, a guardare i campi coltivati della provincia veronese davanti a me, le facce dei bancari, la confusione in posta. Si fa presto ad essere demoliti, non ti riconosci più nell’ambiente circostante, nelle facce, nel linguaggio, nei modi di fare. Vivi 30 anni in veneto, poi stai via un anno e mezzo, torni e ti chiedi con che accento strano mi sta parlando la bancaria. Di sicuro è il jet leg....
Il capitolo più interessante di questi miei primi giorni in Italia dopo le esperienze oceaniche, sono le domande che mi vengono rivolte.
- cosa farai?
- Sei ingrassata? Sei dimagrita?
- metterai la testa a posto?
- Pensi di avere ancora 20 anni?
- Resterai per sempre?
- Che effetto fa la pianura?
- Saresti rientrata lo stesso se non avessi avuto da sistemare alcune cose?
- Cercherai lavoro? Dove? Come? Quando?
- Cosa hai mangiato?
- Ti sposerai? Dove? Come? Quando?
Io rispondo che ho ancora il jet leg e che non ho la mente totalmente attiva, quindi non ho le risposte a tutte queste domande. Invece non è vero, capisco tutto e capisco bene, ho le risposte ma le tengo per me, non passo il tempo a spiegarle, faccio finta di niente, ascolto i questionari con faccia seria, mentre spesso mi verrebbe da ridere. Rido perché mi sembra di vedere lo sbarco di un marziano sulla terra, si va li a toccarlo, scrutarlo, notare cambiamenti e somiglianze, poi dato che comunica, gli si pongono delle domande, quelle più strane.
Quando parti da solo, lasci casa ed amici, ti senti un alieno tra gli umani, poi la fuori incontri tutti alieni, sconosciuti ma tuoi simili a cui non fare domande strane, perché capirai subito che sono come te, vanno e vengono bilanciando pregi e difetti dei paesi, cercano una via nuova per vivere meglio, nuove strade, diverse prospettive, anche soldi, valore umano, si adattano e mettono in gioco tutto, perché continuando a mescolare le carte ed a giocare prima o poi si vince.
Ed io cerco tutti i giorni di vincere la mia partita personale, portandomi dentro e mettendo in atto un nuovo spirito, evitando la pseudo depressione che ti può assalire in questi momenti, il mancato riconoscimento nelle facce, negli ambienti, nelle situazioni, perché so con certezza che questa non è la fine, questa lunga esperienza non sarà solo un hard disk pieno di foto e ricordi messi da parte, non ritornerò seduta alla scrivania a pensare a quanto era bello, perché lo può essere ancora, non è il cerchio che si chiude, è una corda, è uno zig zag, questo è un inizio, è una buona base per ripartire ancora e concretizzare i piani.
In fondo essere alieni non è poi così male, basta abituarsi al verde.
Poi il giorno in cui avevo tutte le mie valigie pronte per iniziare a viaggiare seriamente con prima destinazione Adelaide, ricevo una strana telefonata, un australiano mi chiede se sono ancora interessata a quel lavoro per cui avevo mandato il cv molto tempo prima; tento di non farmi prendere dal panico assassino e rispondo con calma esponendogli la realtà delle cose: sto per partire ed il mio visto scade tra un mese. Il gentile amico mi dice di farmi sentire nel caso ritornassi e mi augura di godermi l’Australia. Sarei poi ritornata dopo un mese ma con un biglietto prenotato per Auckland molti mesi prima.
Ora, riguardando agli eventi con il rewind, ciò può essere visto come “ecco l’occasione giusta” oppure “ecco l’occasione mancata”, ma non può essere semplicemente l’occasione? Presa oppure no, comunque c’è stata. Se tu ti muovi, qualcosa poi si smuove.
In questi ultimi mesi di piani ne ho progettati molti, compreso studiare ancora, per crescere e non fermarmi in nessun campo. Proprio questo è quello che ho imparato in questa lunga esperienza di lavoro/viaggio in Australia e Nuova Zelanda. Ho imparato a non rassegnarmi, a non vedere il futuro come unica via, a lasciarmi aperte alcune porte, riconsiderarle e metterle di nuovo da parte, costruirmi un piano A, se va male B, oppure C e perché no anche D. Avere sempre un piano, non guardare fuori dalla finestra e far scorrere i giorni senza metterci del nostro, qualcosa di vivo ogni giorno.
Poi tutto quello che ho fatto, che ho vissuto, è una bolla talmente grande dentro che per quanto la descrivi non riuscirai mai a farti capire totalmente. Quello che tengo per me, non è quanti pinguini ho visto, ma tutta una serie di azioni di vita. Ho respirato aria pura sopra i monti, dormito nelle piazzole di sosta, visto poveri che si comportavano da ricchi e ricchi che si vergognavano e volevano sembrare poveri, ho bevuto birre con un sudafricano, parlato di filosofia con un turco, condiviso gioie e sfighe con amici in un appartamento, che ormai sentivo come casa e loro come mia famiglia. Conosciuto persone tramite il blog che sono diventati alcuni dei miei migliori amici a Sydney, dato abbracci all’aeroporto credendo che tre mesi non sarebbero mai passati, dicevo di avere fiducia, ma non ne ero convinta fino in fondo, ho stretto mani, dimenticato, capito, parlato, rivisto, sperato, detto tanti vaffanculo e tanti "è meraviglioso", anche a pochi minuti di distanza, ma soprattutto ho imparato, ogni giorno ho imparato che c’è sempre un nuovo inizio, ho imparato a non limitarmi ai miei due metri quadrati ma a guardare il cielo e sentirmi parte di un mondo immenso pieno di buone offerte e commercianti che non ti truffano.
Ed ora anche rido ripensando a quelli che mi ammonivano che là fuori il mondo era pericoloso. E’ più pericoloso passare tre ore davanti alla televisione in Italia, dove da quello che vedi ti costruisci uno pseudo-mondo che non è per niente quello reale.
Eccomi qui ora, dopo un bel po’ di mesi fuori, a guardare i campi coltivati della provincia veronese davanti a me, le facce dei bancari, la confusione in posta. Si fa presto ad essere demoliti, non ti riconosci più nell’ambiente circostante, nelle facce, nel linguaggio, nei modi di fare. Vivi 30 anni in veneto, poi stai via un anno e mezzo, torni e ti chiedi con che accento strano mi sta parlando la bancaria. Di sicuro è il jet leg....
Il capitolo più interessante di questi miei primi giorni in Italia dopo le esperienze oceaniche, sono le domande che mi vengono rivolte.
- cosa farai?
- Sei ingrassata? Sei dimagrita?
- metterai la testa a posto?
- Pensi di avere ancora 20 anni?
- Resterai per sempre?
- Che effetto fa la pianura?
- Saresti rientrata lo stesso se non avessi avuto da sistemare alcune cose?
- Cercherai lavoro? Dove? Come? Quando?
- Cosa hai mangiato?
- Ti sposerai? Dove? Come? Quando?
Io rispondo che ho ancora il jet leg e che non ho la mente totalmente attiva, quindi non ho le risposte a tutte queste domande. Invece non è vero, capisco tutto e capisco bene, ho le risposte ma le tengo per me, non passo il tempo a spiegarle, faccio finta di niente, ascolto i questionari con faccia seria, mentre spesso mi verrebbe da ridere. Rido perché mi sembra di vedere lo sbarco di un marziano sulla terra, si va li a toccarlo, scrutarlo, notare cambiamenti e somiglianze, poi dato che comunica, gli si pongono delle domande, quelle più strane.
Quando parti da solo, lasci casa ed amici, ti senti un alieno tra gli umani, poi la fuori incontri tutti alieni, sconosciuti ma tuoi simili a cui non fare domande strane, perché capirai subito che sono come te, vanno e vengono bilanciando pregi e difetti dei paesi, cercano una via nuova per vivere meglio, nuove strade, diverse prospettive, anche soldi, valore umano, si adattano e mettono in gioco tutto, perché continuando a mescolare le carte ed a giocare prima o poi si vince.
Ed io cerco tutti i giorni di vincere la mia partita personale, portandomi dentro e mettendo in atto un nuovo spirito, evitando la pseudo depressione che ti può assalire in questi momenti, il mancato riconoscimento nelle facce, negli ambienti, nelle situazioni, perché so con certezza che questa non è la fine, questa lunga esperienza non sarà solo un hard disk pieno di foto e ricordi messi da parte, non ritornerò seduta alla scrivania a pensare a quanto era bello, perché lo può essere ancora, non è il cerchio che si chiude, è una corda, è uno zig zag, questo è un inizio, è una buona base per ripartire ancora e concretizzare i piani.
In fondo essere alieni non è poi così male, basta abituarsi al verde.
13 giugno 2010
ME AS A TRAMPER...DO U BELIEVE IT?
No, io non ci credo ancora. Ci credo solo dopo aver contatti frequenti con le mie piccole due vesciche che mi fanno sentire "viva" e con il mio zaino che si sente ogni giorno più svuotato: cambia vestiti, metti dentro le pentole, metti da parte (ma molto da parte) i costumi, etc etc.
Ho iniziato da abel tasman national park, un giro di due giorni con zaino in spalle, camminate e dormita freddolosa in uno dei tanti hut, senza luce, poca acqua e tanto freddo.
Forse era la giusta punizione per aver passato qualche sera prima ad Hammer springs, immersa nelle vasche d'acqua a 42 gradi, immagine che ricordavo con nostalgia quando dalla spiaggia alla barca, che ci riportava in paese via mare, il tragitto era da farsi a piedi nudi dentro l'acqua a -42 gradi.
La somma fa zero.
Zero forze, zero energie, però un pensiero sempre più fisso, giorno dopo giorno, di come sia stupenda e magica questa terra: nuda, antica, originale, intatta, selvaggia, verde, piena di pecore che ti guardano quando ti fermi a bordo strada.
Ecco che lo sforzo di qualche tempo fa ora ha un senso.
Aggiungerò sempre più giorni alle mie camminate, vedremo dove riuscirò ad arrivare, anche perchè si dice nevichi da queste parti.
Continua....
Ho iniziato da abel tasman national park, un giro di due giorni con zaino in spalle, camminate e dormita freddolosa in uno dei tanti hut, senza luce, poca acqua e tanto freddo.
Forse era la giusta punizione per aver passato qualche sera prima ad Hammer springs, immersa nelle vasche d'acqua a 42 gradi, immagine che ricordavo con nostalgia quando dalla spiaggia alla barca, che ci riportava in paese via mare, il tragitto era da farsi a piedi nudi dentro l'acqua a -42 gradi.
La somma fa zero.
Zero forze, zero energie, però un pensiero sempre più fisso, giorno dopo giorno, di come sia stupenda e magica questa terra: nuda, antica, originale, intatta, selvaggia, verde, piena di pecore che ti guardano quando ti fermi a bordo strada.
Ecco che lo sforzo di qualche tempo fa ora ha un senso.
Aggiungerò sempre più giorni alle mie camminate, vedremo dove riuscirò ad arrivare, anche perchè si dice nevichi da queste parti.
Continua....
01 giugno 2010
IT'S TIME TO TRIP AROUND....IN NIU ZILAND
"L’obiettivo è lo stimolo ed inseguirlo attivamente". Eravamo arrivati a questo punto ormai piu' di un mese fa, nel frattempo abbiamo lasciato definitivamente Cappuccinolandia ed i giocatori di golf che arrivano in elicottero. Abbiamo abbandonato la nostra casa, sorridendo sul fatto che quando passi dal nominare "li dove vivo" alla "nostra casa" e' fatta, ormai sei parte di quel posto. Per non parlare delle persone, scene da film, la manager sempre piu' isterica (perche' il genere femminile puo' diventare cosi'?) ci saluta con un semplice ciao, il manager invece ci dice di tornare "se vogliamo o abbiamo bisogno", il cuoco che ci abbraccia con gli occhi lucidi, il responsabile del negozio, che iniziava la sua giornata sempre in ritardo (ebbene si' c'e' qualcuno peggio di me) con un bel "buff, che palle me ne andrei a casa", ci raccomanda di guardare la tv il prossimo 20 giugno, quando "ne prenderemo tante e non ce lo aspetteremo!". Mancava all'ordine dei saluti la Vecchia, che ballava Michael Jackson e che sapeva i gossip di tutti, credo anche quando abbiamo fatto la nostra prima lavatrice. Saluti ed abbracci e si parte. A parte per Isteria, gli altri personaggi ci mancheranno.
Pieni di zaini partiamo in direzione Wellington, con stop a Taupo e Napier, poi grande attraversata all'isola del sud e da li si iniziera' il giro dell'isola. Ovviamente il mezzo, ancora una volta, perche' non siamo stanchi di pane e vegemite, sara' un piccolo van pieno di tutte le nostre cose, compresa la nostra voglia di vedere, scoprire, andare, partire, viaggiare.
Non vedo l'ora, passo ogni momento a raccogliere info, anche Rolling Stone e' stato sostiuito da fotocopie e libretti. L'avevamo desiderato, ne avevamo parlato nei momenti down, ed ora ci siamo!
Pieni di zaini partiamo in direzione Wellington, con stop a Taupo e Napier, poi grande attraversata all'isola del sud e da li si iniziera' il giro dell'isola. Ovviamente il mezzo, ancora una volta, perche' non siamo stanchi di pane e vegemite, sara' un piccolo van pieno di tutte le nostre cose, compresa la nostra voglia di vedere, scoprire, andare, partire, viaggiare.
Non vedo l'ora, passo ogni momento a raccogliere info, anche Rolling Stone e' stato sostiuito da fotocopie e libretti. L'avevamo desiderato, ne avevamo parlato nei momenti down, ed ora ci siamo!
23 aprile 2010
L’ EQUILIBRIO INESISTENTE IN NIU ZILAND
Leggevo qui una frase che mi ha colpito particolarmente “...the travelling itself doesn’t give you ANYTHING…”.
È noto ormai, secondo al legge dell’imprevedibilità degli eventi, che quando hai determinati pensieri, intorno a te si moltiplicano i segnali relativi a quella tua particolare situazione. Come vedo alla tv le gare sportive che si tengono a Sydney, i documentari sul Queensland ed i famosi (da me amati) crocs, penso che questo sovrap-pensiero mi segue in ogni momento, non lasciandomi in pace per scegliere con razionalità una delle tante possibili vie che vorrei prendere.
Così ecco il tema “significato del viaggio” e tutto quello che ne comporta. Ho notato una sincera stanchezza nei dialoghi “da bar” che tengo ultimamente, domande tipo “where are you from?”, risposte tipo “cool”, etc etc …. Non si va più in la di due frasi, oppure la stessa frase viene ripetuta ogni giorno, per ogni singola persona che capisce che sei “straniero”. That’s it.
Mi manca un dialogo completo, uno scambio profondo, anche fatto di gossip, di chi sposa chi e chi ha divorziato da chi (i famosi dialoghi da parrucchiera), mi manca l’andare oltre. Ovviamente questo “oltre” non è possibile se continui a spostarti oppure a cambiare ambiente, di lavoro o il cerchio di persone. Se vaghi.
Ma cosa mi porta tutto questo vagare?
Si dice spesso che si viaggia per poter trovare qualcosa, che manca, che avremmo in più, che non aspettiamo o che vogliamo davvero. Si dice anche che seduti davanti ad un paesaggio spettacolare, le idee si schiariscano, invece no. Viaggiando cominci a vedere che non ti sta più bene quel tuo precedente modo di vivere, quelle finte amicizie portate avanti per circostanza, quei rapporti umani senza significato. Poi cominci a pensare che quello spazio da cartolina non sarebbe male farlo diventare la tua casa, col marito che bada alle pecore e tu che curi l’erba del giardino.
Una tua oasi personale, fatta di spazi costruiti dove ti piace vivere, hai scelto di farlo ed hai scelto anche con chi.
Viaggiare e vivere all’estero ti porta ad essere libero di scegliere, la tua casa, i tuoi rapporti, il tuo lavoro; ma la libertà può significare anche perdita e non sicurezza, non avere una carriera, dei punti fermi, le facce nuove che fanno bene e fanno male, l’essere continuamente sconvolti, da quello che vedi, che vivi e che pensi.
Quando e se torni non hai niente in più che ti accompagna, se non qualche chilo di vestiti aggiunti, purtroppo (per gli altri) e per fortuna (per te) è sedimentato tutto nella tua testa.
Quando senti (e sentirai) la frase “e allora? Tutto questo girare a cosa è servito?”, tu potrai dire “ a niente”. Ho in testa nuove idee, nuovi modi di vivere, nuovi valori miei personali su cui fare affidamento quando quelli “di tutti” non mi andranno più bene, immagini di laghi, di meraviglie, di sensazioni, ma non ho nulla di concreto da dimostrare, nessuna attività, nessun conto corrente milionario, nessun riconoscimento ufficiale. Ho anche in mente episodi di schiavismo, il fatto di essere costantemente tagliato fuori perché sei immigrato, le porte chiuse, i vaffanculo, tanti.
Il viaggio in sé non porta a nulla, ed è vero, anzi è uno squilibrio ulteriore a quello tuo personale, squilibrio inteso come ricerca.
Per restare in tema post, la conclusione non c’è, se non la consapevolezza che per in ogni viaggio od esperienza di vita, è necessario un obiettivo, qualcosa a cui aspirare, a cui arrivare. Se c’è solo un punto chiaro dopo tutto questo viaggiare e girare, è quello del tentare di crearsi uno stimolo che ti alleggerisca i giorni.
Non lasciarsi andare, non lasciarsi mettere in riga, credendo che “la vita è questa cosa vuoi di più?”, che sia per me fare i capuccini per fare pacchia e festa all’isola del sud tra poco, oppure continuare a fare la stessa tangenziale per andare al lavoro, l’obiettivo è lo stimolo ed inseguirlo attivamente.
È noto ormai, secondo al legge dell’imprevedibilità degli eventi, che quando hai determinati pensieri, intorno a te si moltiplicano i segnali relativi a quella tua particolare situazione. Come vedo alla tv le gare sportive che si tengono a Sydney, i documentari sul Queensland ed i famosi (da me amati) crocs, penso che questo sovrap-pensiero mi segue in ogni momento, non lasciandomi in pace per scegliere con razionalità una delle tante possibili vie che vorrei prendere.
Così ecco il tema “significato del viaggio” e tutto quello che ne comporta. Ho notato una sincera stanchezza nei dialoghi “da bar” che tengo ultimamente, domande tipo “where are you from?”, risposte tipo “cool”, etc etc …. Non si va più in la di due frasi, oppure la stessa frase viene ripetuta ogni giorno, per ogni singola persona che capisce che sei “straniero”. That’s it.
Mi manca un dialogo completo, uno scambio profondo, anche fatto di gossip, di chi sposa chi e chi ha divorziato da chi (i famosi dialoghi da parrucchiera), mi manca l’andare oltre. Ovviamente questo “oltre” non è possibile se continui a spostarti oppure a cambiare ambiente, di lavoro o il cerchio di persone. Se vaghi.
Ma cosa mi porta tutto questo vagare?
Si dice spesso che si viaggia per poter trovare qualcosa, che manca, che avremmo in più, che non aspettiamo o che vogliamo davvero. Si dice anche che seduti davanti ad un paesaggio spettacolare, le idee si schiariscano, invece no. Viaggiando cominci a vedere che non ti sta più bene quel tuo precedente modo di vivere, quelle finte amicizie portate avanti per circostanza, quei rapporti umani senza significato. Poi cominci a pensare che quello spazio da cartolina non sarebbe male farlo diventare la tua casa, col marito che bada alle pecore e tu che curi l’erba del giardino.
Una tua oasi personale, fatta di spazi costruiti dove ti piace vivere, hai scelto di farlo ed hai scelto anche con chi.
Viaggiare e vivere all’estero ti porta ad essere libero di scegliere, la tua casa, i tuoi rapporti, il tuo lavoro; ma la libertà può significare anche perdita e non sicurezza, non avere una carriera, dei punti fermi, le facce nuove che fanno bene e fanno male, l’essere continuamente sconvolti, da quello che vedi, che vivi e che pensi.
Quando e se torni non hai niente in più che ti accompagna, se non qualche chilo di vestiti aggiunti, purtroppo (per gli altri) e per fortuna (per te) è sedimentato tutto nella tua testa.
Quando senti (e sentirai) la frase “e allora? Tutto questo girare a cosa è servito?”, tu potrai dire “ a niente”. Ho in testa nuove idee, nuovi modi di vivere, nuovi valori miei personali su cui fare affidamento quando quelli “di tutti” non mi andranno più bene, immagini di laghi, di meraviglie, di sensazioni, ma non ho nulla di concreto da dimostrare, nessuna attività, nessun conto corrente milionario, nessun riconoscimento ufficiale. Ho anche in mente episodi di schiavismo, il fatto di essere costantemente tagliato fuori perché sei immigrato, le porte chiuse, i vaffanculo, tanti.
Il viaggio in sé non porta a nulla, ed è vero, anzi è uno squilibrio ulteriore a quello tuo personale, squilibrio inteso come ricerca.
Per restare in tema post, la conclusione non c’è, se non la consapevolezza che per in ogni viaggio od esperienza di vita, è necessario un obiettivo, qualcosa a cui aspirare, a cui arrivare. Se c’è solo un punto chiaro dopo tutto questo viaggiare e girare, è quello del tentare di crearsi uno stimolo che ti alleggerisca i giorni.
Non lasciarsi andare, non lasciarsi mettere in riga, credendo che “la vita è questa cosa vuoi di più?”, che sia per me fare i capuccini per fare pacchia e festa all’isola del sud tra poco, oppure continuare a fare la stessa tangenziale per andare al lavoro, l’obiettivo è lo stimolo ed inseguirlo attivamente.
23 marzo 2010
SHEEPS AND DUCKS IN NEW ZEALAND
Sono le ore 6.30 e la mia giornata neozelandese inizia in questo momento, con la nebbia fuori dal vetro, un freddo gelido che evito grazie ad una calda giacca a vento regalatami e le anatre che girano nel giardino davanti a me.
La fauna qui, in un paesino sperduto della niu zi, è molto ricca, fuori si parla di cani, anatre, uccelli di tutti i tipi e piccoli ragni che costruiscono filamenti in alcuni secondi, in casa pure, qualche formica e pochi scarafaggi (in ricordo dei cugini australiani).
Le mie reazioni si sono pian piano abituate alla fauna, passando da urli a lanci delle bestie, con le dita, verso direzioni esterne.
Cosa ci faccio in questo posto in mezzo ai prati e alle montagne? Faccio i caffè ai turisti in vacanza.
La mia idea iniziale una volta arrivata qui era proprio quella di vivere fuori dalle grandi città, soprattutto quando Auckland non mi aveva fatto una buonissima impressione. Potendo scegliere dove vivere e lavorare, ho colto l’occasione di passare qui qualche mese, forse meno in base a quanto lavoro ci sarà nelle prossime settimane.
Sembra un piccolo ritorno alle origini (si ma molte origini fa), dato che si parla di bagno con i due rubinetti separati, caldo e freddo, esisti solo tu e la natura.
Andando al lavoro osservo il verde che circonda questo luogo, alberi, montagne, fogliame, vacche e pecore (le famose pecore niu zi), penso ad un mondo (il mio mondo attuale) senza connessione internet (presente a 10 km da questo posto) e mi sento bene senza gli aggiornamenti di stato di facebook ed il lato virtuale della vita.
Continuo le consulenze psicologiche a distanza (ad amici e a chi avesse bisogno… :) ), ma con molta meno frequenza, ora ho dei grossi pensieri in testa (roba da stress) tipo evitare le anatre sulla strada e fare una buona e bella schiuma sul capuccino.
In verità lo stress esiste ma è piccolo piccolo ed è sovrappensiero: il futuro, le decisioni, i visti, i punti di domanda, i punti esclamativi, etc etc...ma di questo intanto parlo con lo specchio, o con Renato Pozzetto.
La fauna qui, in un paesino sperduto della niu zi, è molto ricca, fuori si parla di cani, anatre, uccelli di tutti i tipi e piccoli ragni che costruiscono filamenti in alcuni secondi, in casa pure, qualche formica e pochi scarafaggi (in ricordo dei cugini australiani).
Le mie reazioni si sono pian piano abituate alla fauna, passando da urli a lanci delle bestie, con le dita, verso direzioni esterne.
Cosa ci faccio in questo posto in mezzo ai prati e alle montagne? Faccio i caffè ai turisti in vacanza.
La mia idea iniziale una volta arrivata qui era proprio quella di vivere fuori dalle grandi città, soprattutto quando Auckland non mi aveva fatto una buonissima impressione. Potendo scegliere dove vivere e lavorare, ho colto l’occasione di passare qui qualche mese, forse meno in base a quanto lavoro ci sarà nelle prossime settimane.
Sembra un piccolo ritorno alle origini (si ma molte origini fa), dato che si parla di bagno con i due rubinetti separati, caldo e freddo, esisti solo tu e la natura.
Andando al lavoro osservo il verde che circonda questo luogo, alberi, montagne, fogliame, vacche e pecore (le famose pecore niu zi), penso ad un mondo (il mio mondo attuale) senza connessione internet (presente a 10 km da questo posto) e mi sento bene senza gli aggiornamenti di stato di facebook ed il lato virtuale della vita.
Continuo le consulenze psicologiche a distanza (ad amici e a chi avesse bisogno… :) ), ma con molta meno frequenza, ora ho dei grossi pensieri in testa (roba da stress) tipo evitare le anatre sulla strada e fare una buona e bella schiuma sul capuccino.
In verità lo stress esiste ma è piccolo piccolo ed è sovrappensiero: il futuro, le decisioni, i visti, i punti di domanda, i punti esclamativi, etc etc...ma di questo intanto parlo con lo specchio, o con Renato Pozzetto.
16 febbraio 2010
IN DA KIWI
Scrivo gratuitamente dalla library di Auckland, città dove si arriva per forza ma non si sa quanto si resta, perchè tutti ne danno un'opinione alquanto negativa ed ora capisco perchè. Città grigia, incasinata, piena di asiatici e di indiani, una piccola brutta copia di altre città del mondo, un posto che non ha una sua identità precisa.
Oltre agli insulti, però qui si nota già il tocco kiwi nell'ambiente circostante. Basta prendere un traghetto, saltare di là della baia e su per un colle a fare foto. Ecco finalmente quello che di più tipico c'è. Il vento che soffia incessantemente e tira le numerose barche a vela, colli vulcanici dove camminare e respirare i nuovi profumi naturali nz. La natura che si apre a te e che ti fa dimenticare le telefonate dall'Italia con i vari "ma dove vai?", "ancora?", "e alora..." etc etc.
Ancora sì, perchè ormai la mutazione è avvenuta. Vuoti di memoria, voglia di sushi, valigie di ogni dimensione e zaini ormai sono parte di te. Perfino sentire un accento del nord ovest ogni giorno, mi fa così tanto ridere perchè mi sembra di aver vicino Renato Pozzetto versione travel. Anche questo è parte di te. Ci sono cose che acquisisci col tempo e di cui non ti rendi conto.
E' anche vero che ad ogni nuovo viaggio ed esperienza cambiano anche gli obiettivi. Si sa già a priori quello che si vorrà fare e quello che non si vorrà proprio. Si mettono dei paletti, però sempre mobili, pronti a vari usi e disposizioni, perchè nella vita non si può davvero mai dire.
"non mi sposerò mai", "non ci andrò mai", "non lo farò mai", ma chi lo dice? Ci troviamo solo qualche anno dopo a dire "che bel deficiente che ero"(detto anche mon@, sempre per tenere vive le origini).
Si cambia e ci si evolve anche in viaggio, perchè altrimenti si rischia di diventare la brutta copia di se stessi, di andare tanto per andare, di dormire in ostello come i veri backpackers, oppure di mangiare sempre noodles come i veri backpackers.
Ecco io non credo che, ancora una volta, sentirsi parte di un gruppo ben identificato faccia bene. Anzi. Come gli emo alternativi, ma tutti uguali. Credo più nel fatto di essere mobili e malleabili.
Si ma cosa c'entra con Auckland? Appunto. E' difficile qui sentirsi parte di questa città nuova e non ben identificata, anche perchè di orginali ce ne sono pochi (veri nz, come i veri aussie). Si sente l'esigenza di spostarsi verso il vero spirito neo zelandese, da cercare tra annnunci di lavoro a paga minima e varie altre questioni legate al fatto che, da come sembra, perfino per il controllo qualità dei kiwi si deve avere la residenza.
Ma come sempre e vista anche l'esperienza australiana, la risposta, come la telefonata che aspettavi da mesi, arriverà l'ultimo giorno o l'ultimo mese, non quando la cerchi, altrimenti è troppo facile.
Oltre agli insulti, però qui si nota già il tocco kiwi nell'ambiente circostante. Basta prendere un traghetto, saltare di là della baia e su per un colle a fare foto. Ecco finalmente quello che di più tipico c'è. Il vento che soffia incessantemente e tira le numerose barche a vela, colli vulcanici dove camminare e respirare i nuovi profumi naturali nz. La natura che si apre a te e che ti fa dimenticare le telefonate dall'Italia con i vari "ma dove vai?", "ancora?", "e alora..." etc etc.
Ancora sì, perchè ormai la mutazione è avvenuta. Vuoti di memoria, voglia di sushi, valigie di ogni dimensione e zaini ormai sono parte di te. Perfino sentire un accento del nord ovest ogni giorno, mi fa così tanto ridere perchè mi sembra di aver vicino Renato Pozzetto versione travel. Anche questo è parte di te. Ci sono cose che acquisisci col tempo e di cui non ti rendi conto.
E' anche vero che ad ogni nuovo viaggio ed esperienza cambiano anche gli obiettivi. Si sa già a priori quello che si vorrà fare e quello che non si vorrà proprio. Si mettono dei paletti, però sempre mobili, pronti a vari usi e disposizioni, perchè nella vita non si può davvero mai dire.
"non mi sposerò mai", "non ci andrò mai", "non lo farò mai", ma chi lo dice? Ci troviamo solo qualche anno dopo a dire "che bel deficiente che ero"(detto anche mon@, sempre per tenere vive le origini).
Si cambia e ci si evolve anche in viaggio, perchè altrimenti si rischia di diventare la brutta copia di se stessi, di andare tanto per andare, di dormire in ostello come i veri backpackers, oppure di mangiare sempre noodles come i veri backpackers.
Ecco io non credo che, ancora una volta, sentirsi parte di un gruppo ben identificato faccia bene. Anzi. Come gli emo alternativi, ma tutti uguali. Credo più nel fatto di essere mobili e malleabili.
Si ma cosa c'entra con Auckland? Appunto. E' difficile qui sentirsi parte di questa città nuova e non ben identificata, anche perchè di orginali ce ne sono pochi (veri nz, come i veri aussie). Si sente l'esigenza di spostarsi verso il vero spirito neo zelandese, da cercare tra annnunci di lavoro a paga minima e varie altre questioni legate al fatto che, da come sembra, perfino per il controllo qualità dei kiwi si deve avere la residenza.
Ma come sempre e vista anche l'esperienza australiana, la risposta, come la telefonata che aspettavi da mesi, arriverà l'ultimo giorno o l'ultimo mese, non quando la cerchi, altrimenti è troppo facile.
08 febbraio 2010
BACK HOME AUSTRALIA
Sarebbe stato curioso scrivere dal mio divano nel paesino della pianura veronese, invece scrivo dalla seconda mia casa, ovvero l'appartamento condiviso nella West Sydney. Sono sul tanto amato (da tutti gli ospiti) divano, dopo un volo VirginBlue notturno da Perth, chiusi come scatolette tra i sedili, abbiamo cercato di dormire e di riposare. Abbiamo perchè siamo in due. Durante questo mio viaggio lungo ho incontrato chi sta dormendo ora sull'altro divano, ed abbiamo cominciato a parlare di vita e viaggi, fino a percorrere circa 4000 km in van, tra nutella e stelle, allagamenti della wet season e paesaggi diversi ad ogni giorno nuovo.
Sono partita da qui un mese fa, con destinazione Adelaide, da li via con un bus fino ad Alice Springs, con meta Uluru, Kata Tjuta e Kings Canyon. Rocce, caldo, camminate, sudore e tante persone si sono incrociate in questo piccolo trip. Poi ho preso il famoso the Ghan il treno che attraversa l'Australia da sud a nord, per arrivare a Darwin, da dove sarebbe partita la mia avventura con il van, puro stile rock'n'roll selvaggio, verso Perth.
Quel van tanto odiato all'inizio per il caldo impossibile delle lamiere, sotto le quali dovevamo dormire di notte, oppure per le marce scassatissime. Pian piano ci siamo abituati e quel catorcio era diventata la nostra casa mobile, il nostro mezzo di trasporto, il nostro cuscino per poter osservare un meraviglioso cielo stellato, la nostra base dove tornare quotidianamente.
Poi ieri sera, andando verso l'aeroporto che da Perth ci avrebbe riportato a Sydney, a fianco a noi ecco uno dei tanti van. Un sorriso su di noi ci ha fatto nascondere un attimo la nostalgia per quel viaggio finito, per quel mezzo per cui alla fine provavamo nostalgia, per quante avventure sono successe.
Ed ora rieccoci qui a casa a Sydney, come ai vecchi tempi, fa strano come al solito, ma forse un pò di più perchè stavolta non ci sono vuoti e ricordi, ma solo tanti progetti da concretizzare. Finito il tempo dei Kleenex e degli aeroporti (forse), ora inizia un'altra avventura verso una nuova terra da vivere e conoscere, alla ricerca di lavoro e di nuove gags, da tenere con noi anche in un possibile rientro in Italia, tra qualche tempo. Domani si prenderà un altro volo che coinciderà con la fine di questo mio working holiday in Australia. La fine non è sempre termine e nostalgia, la fine può essere un nuovo inizio, un progetto diverso da quello che avevi immaginato.
Secondo i miei piani di 4/5 mesi fa, ora avrei dovuto prendere un aereo per l'Italia nel giro di qualche giorno e tornare a sedermi nella storica sedia del bar di paese, in mezzo agli amici di sempre e alle persone care e cominciare a raccontare gli aneddoti passati.
Invece mi trovo ad iniziare un nuovo working holiday visa in Nuova Zelanda, a due. Due teste, due anime, a volte dure da far combaciare, per il nostro reciproco aver vissuto da single negli ultimi tempi. Ma ce la faremo, insieme, per mano, Auckland stiamo arrivando.
Sono partita da qui un mese fa, con destinazione Adelaide, da li via con un bus fino ad Alice Springs, con meta Uluru, Kata Tjuta e Kings Canyon. Rocce, caldo, camminate, sudore e tante persone si sono incrociate in questo piccolo trip. Poi ho preso il famoso the Ghan il treno che attraversa l'Australia da sud a nord, per arrivare a Darwin, da dove sarebbe partita la mia avventura con il van, puro stile rock'n'roll selvaggio, verso Perth.
Quel van tanto odiato all'inizio per il caldo impossibile delle lamiere, sotto le quali dovevamo dormire di notte, oppure per le marce scassatissime. Pian piano ci siamo abituati e quel catorcio era diventata la nostra casa mobile, il nostro mezzo di trasporto, il nostro cuscino per poter osservare un meraviglioso cielo stellato, la nostra base dove tornare quotidianamente.
Poi ieri sera, andando verso l'aeroporto che da Perth ci avrebbe riportato a Sydney, a fianco a noi ecco uno dei tanti van. Un sorriso su di noi ci ha fatto nascondere un attimo la nostalgia per quel viaggio finito, per quel mezzo per cui alla fine provavamo nostalgia, per quante avventure sono successe.
Ed ora rieccoci qui a casa a Sydney, come ai vecchi tempi, fa strano come al solito, ma forse un pò di più perchè stavolta non ci sono vuoti e ricordi, ma solo tanti progetti da concretizzare. Finito il tempo dei Kleenex e degli aeroporti (forse), ora inizia un'altra avventura verso una nuova terra da vivere e conoscere, alla ricerca di lavoro e di nuove gags, da tenere con noi anche in un possibile rientro in Italia, tra qualche tempo. Domani si prenderà un altro volo che coinciderà con la fine di questo mio working holiday in Australia. La fine non è sempre termine e nostalgia, la fine può essere un nuovo inizio, un progetto diverso da quello che avevi immaginato.
Secondo i miei piani di 4/5 mesi fa, ora avrei dovuto prendere un aereo per l'Italia nel giro di qualche giorno e tornare a sedermi nella storica sedia del bar di paese, in mezzo agli amici di sempre e alle persone care e cominciare a raccontare gli aneddoti passati.
Invece mi trovo ad iniziare un nuovo working holiday visa in Nuova Zelanda, a due. Due teste, due anime, a volte dure da far combaciare, per il nostro reciproco aver vissuto da single negli ultimi tempi. Ma ce la faremo, insieme, per mano, Auckland stiamo arrivando.
06 gennaio 2010
BYE BYE SYDNEY
E' anche la mia vita da semi residente qui a Sydney è finita, domani si parte. Grande entusiasmo per i viaggi e tutto ciò che vivrò e vedrò, ma anche un pò di tristezza per tutto quello che ho vissuto finora. E' appena finito il mio farewell barbecue party con tanto di foto e tanta birra. Non conto tutte le persone che ho conosciuto e con cui ho bevuto e cenato in questo appartamento, le facce che si sono susseguite, le esperienze, le telefonate, gli ospiti e molto altro ancora.
Ogni giorno non è mai stato simile all'altro, nessuna regola, nessun programma, con il bello ed il brutto che questo comporta. Sono stati però dieci mesi pieni e vivi, l'ho capito stasera dai messaggi che ho ricevuto e dalle esperienze che mi porterò sempre dentro, tra questa vita condivisa, il lavoro in un ambiente straniero, le amicizie e le miso soup.
Bye Bye Sydney, mi ha dato tanto, davvero tanto, molte cose non si possono descrivere, vorrei dire, ma non so come fare, perchè spesso non si può spiegare tutto, si prende così com'è, il pacchetto completo, tirando le somme sono prevalsi i più rispetto ai meno.
Tutto questo me lo porterò con me, per sempre, se dovessi tornare seriamente, sarebbe come ritornare a casa mia, altrimenti è ed è stato un ricordo meraviglioso. Tante vite in dieci mesi.
Ogni giorno non è mai stato simile all'altro, nessuna regola, nessun programma, con il bello ed il brutto che questo comporta. Sono stati però dieci mesi pieni e vivi, l'ho capito stasera dai messaggi che ho ricevuto e dalle esperienze che mi porterò sempre dentro, tra questa vita condivisa, il lavoro in un ambiente straniero, le amicizie e le miso soup.
Bye Bye Sydney, mi ha dato tanto, davvero tanto, molte cose non si possono descrivere, vorrei dire, ma non so come fare, perchè spesso non si può spiegare tutto, si prende così com'è, il pacchetto completo, tirando le somme sono prevalsi i più rispetto ai meno.
Tutto questo me lo porterò con me, per sempre, se dovessi tornare seriamente, sarebbe come ritornare a casa mia, altrimenti è ed è stato un ricordo meraviglioso. Tante vite in dieci mesi.
01 gennaio 2010
from 80s to 2010 IN AUSTRALIA
E' iniziato il 2010 con grandi fuochi e festeggiamenti stanotte e noi, dal nostro piccolo accampamento in zona Taronga Zoo, ci siamo goduti lo spettacolo e fatto foto e video per ricordare. Abbiamo passato circa 8 ore seduti sui sassi in riva alla piccola spiaggia che ci dava un panorama stupendo, mangiando, bevendo (orange juice) e finendo, inevitabilmente, a parlare di questo 2009 passato. Un anno di cambiamenti, di continui spostamenti, incertezze e curiosità, voglia di fermarsi e voglia di continuare a scoprire. Di sicuro un anno da ricordare, pieno di facce, di numeri di telefono, di posti di lavoro, di parole, lettere e skype. Un anno nuovo, rispetto a quelli precedenti, uno di quelli che ricorderò sempre col sorriso, per tutto quello che mi ha offerto e fatto vivere.
Ma questo inizio d'anno è anche il mio ultimo weekend a Sydney, tentando di salutare (verbo che si ripete spesso in questo blog) tutti, di mangiare (verbo che si ripete spesso in questo blog) con tutti e bere (verbo che si ripete spesso in questo blog) con tutti gli amici conosciuti. La sensazione del cerchio che si chiude, nonostante le prossime avventure on the road, il fatto di aver vissuto qui e di essermi sentita da subito a casa fin dai primi momenti, di essermi costruita una vita più o meno regolare, tra lavoro, uscite ed amici e di non essermi annoiata mai, trovando sempre nuovi stimoli nella vita di tutti i giorni.
Mi dispiace tantissimo lasciare Sydney e non credevo così tanto. "Il nostro amore appena nato, è già finito" Mina.
Però è vero anche che ho circa una settimana per fare e vedere ancora molto, iniziando domani sera con il cinema all'aperto in un parco in centro città, ed ecco che il mio sogno si avvera: essere come al drive in.
L'altra settimana ho avuto l'occasione di vedere anche una mostra sugli anni 80 al Powerhouse Museum della city, inutile descrivere l'effetto che mi ha fatto entrare e subito ecco Kylie su un megaschermo che canta "I Should Be So Lucky" e via di vinili col sondaggio "ce l'ho, non ce l'ho", cubi di Rubik etc etc. Una parte molto interessante è stata quella relativa ai gruppi ed agli eventi anni 80 in Australia, come il Mardi Grass del 1981 ed i concerti degli INXS. Un aggettivo: spaziale.
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