23 aprile 2010

L’ EQUILIBRIO INESISTENTE IN NIU ZILAND

Leggevo qui una frase che mi ha colpito particolarmente “...the travelling itself doesn’t give you ANYTHING…”.

È noto ormai, secondo al legge dell’imprevedibilità degli eventi, che quando hai determinati pensieri, intorno a te si moltiplicano i segnali relativi a quella tua particolare situazione. Come vedo alla tv le gare sportive che si tengono a Sydney, i documentari sul Queensland ed i famosi (da me amati) crocs, penso che questo sovrap-pensiero mi segue in ogni momento, non lasciandomi in pace per scegliere con razionalità una delle tante possibili vie che vorrei prendere.

Così ecco il tema “significato del viaggio” e tutto quello che ne comporta. Ho notato una sincera stanchezza nei dialoghi “da bar” che tengo ultimamente, domande tipo “where are you from?”, risposte tipo “cool”, etc etc …. Non si va più in la di due frasi, oppure la stessa frase viene ripetuta ogni giorno, per ogni singola persona che capisce che sei “straniero”. That’s it.

Mi manca un dialogo completo, uno scambio profondo, anche fatto di gossip, di chi sposa chi e chi ha divorziato da chi (i famosi dialoghi da parrucchiera), mi manca l’andare oltre. Ovviamente questo “oltre” non è possibile se continui a spostarti oppure a cambiare ambiente, di lavoro o il cerchio di persone. Se vaghi.
Ma cosa mi porta tutto questo vagare?

Si dice spesso che si viaggia per poter trovare qualcosa, che manca, che avremmo in più, che non aspettiamo o che vogliamo davvero. Si dice anche che seduti davanti ad un paesaggio spettacolare, le idee si schiariscano, invece no. Viaggiando cominci a vedere che non ti sta più bene quel tuo precedente modo di vivere, quelle finte amicizie portate avanti per circostanza, quei rapporti umani senza significato. Poi cominci a pensare che quello spazio da cartolina non sarebbe male farlo diventare la tua casa, col marito che bada alle pecore e tu che curi l’erba del giardino.
Una tua oasi personale, fatta di spazi costruiti dove ti piace vivere, hai scelto di farlo ed hai scelto anche con chi.

Viaggiare e vivere all’estero ti porta ad essere libero di scegliere, la tua casa, i tuoi rapporti, il tuo lavoro; ma la libertà può significare anche perdita e non sicurezza, non avere una carriera, dei punti fermi, le facce nuove che fanno bene e fanno male, l’essere continuamente sconvolti, da quello che vedi, che vivi e che pensi.
Quando e se torni non hai niente in più che ti accompagna, se non qualche chilo di vestiti aggiunti, purtroppo (per gli altri) e per fortuna (per te) è sedimentato tutto nella tua testa.

Quando senti (e sentirai) la frase “e allora? Tutto questo girare a cosa è servito?”, tu potrai dire “ a niente”. Ho in testa nuove idee, nuovi modi di vivere, nuovi valori miei personali su cui fare affidamento quando quelli “di tutti” non mi andranno più bene, immagini di laghi, di meraviglie, di sensazioni, ma non ho nulla di concreto da dimostrare, nessuna attività, nessun conto corrente milionario, nessun riconoscimento ufficiale. Ho anche in mente episodi di schiavismo, il fatto di essere costantemente tagliato fuori perché sei immigrato, le porte chiuse, i vaffanculo, tanti.

Il viaggio in sé non porta a nulla, ed è vero, anzi è uno squilibrio ulteriore a quello tuo personale, squilibrio inteso come ricerca.

Per restare in tema post, la conclusione non c’è, se non la consapevolezza che per in ogni viaggio od esperienza di vita, è necessario un obiettivo, qualcosa a cui aspirare, a cui arrivare. Se c’è solo un punto chiaro dopo tutto questo viaggiare e girare, è quello del tentare di crearsi uno stimolo che ti alleggerisca i giorni.
Non lasciarsi andare, non lasciarsi mettere in riga, credendo che “la vita è questa cosa vuoi di più?”, che sia per me fare i capuccini per fare pacchia e festa all’isola del sud tra poco, oppure continuare a fare la stessa tangenziale per andare al lavoro, l’obiettivo è lo stimolo ed inseguirlo attivamente.