28 settembre 2011. Paesaggio di pianura veneta. Timbro il cartellino ed ho 30 anni.
Ho immaginato spesso il giorno del mio 30esimo compleanno e, a dire il vero, mi saliva un’ansia terribile. I famosi 30 anni. Chi sei? Che hai fatto finora? Progetti? Programmi? Con chi? Perché? Ammazza.
Poi mettici la nonna che ti vuole vedere sposata, il datore di lavoro che ti vuole vedere sempre extra, sempre “di più”, il moroso che ti vuole “più presente, ecc..”, lo zio che ti dice “eh ormai (…) hai 30anni”, mentre io vorrei riuscire solamente a vedermi ancora. Perché tra tutte idee di Miss30anni io non mi vedo (vedevo) più. Vedevo solo l’immagine che gli altri avevano di me, quello che si aspettavano da me. Ogni giorno di più, ogni giorno rimodellare questa immagine che non aveva nessuna connessione con il mio Io più interno. Sballottamenti. Di qua e di là.
Ma come sempre “la vita è quello che ti succede fin che stai facendo altri piani”, così fin che mi immaginavo a cantare All by myself, sotto il piumone, con un vinello rosso doc, ecco che il bacillo attacca e uccide le mie difese immunitarie e mi costringe 3 giorni a letto con l’influenza. Necessitavo solo di pensare alla sopravvivenza.
Ho chiesto troppo a me stessa. Mi tormentavo con le domande, mi spremevo a furia ci jogging e di Ipod, mandavo affa tutti dalle 9 alle 18, pensando sempre alle mie pecore e alle mie passeggiate a Manly Beach. Non ce la facevo più, tutti che mi chiedevano qualcosa, che pretendevano pezzi di me, chi il cuore, chi la testa, chi l’impegno, chi le ore straordinarie, sforzarsi, e ancora di più, di più.
E poi…stam! ko tecnico.
Dicono che il corpo arrivi prima della mente, infatti tu credi di essere Wonder Woman intanto la flora intestinale zitta zitta, ti saluta e se ne va in vacanza.
Era il momento di dire basta, anche alla sofferenza, sentirsi come i birilli dopo uno strike, avere il piano A che non era come immaginavi, il piano B in mille pezzi, di conseguenza i piano C e D da rivalutare e ricostruire. Delirio. Sofferenza. Incredulità. Sentirsi spettatori di una pellicola che passa le immagini di te che vivi l’ultimo anno, voler fermare il nastro ed intervenire come si doveva, come avrei fatto, come avrei potuto se tanti ma e tanti se fossero stati diversi.
Avere il mondo a pezzi davanti a te, rialzarsi e provare a ricostruire tutto.
A volte si ha bisogno di grandi rivoluzioni, partire, scombinare tutto, sovvertire, provarci. Altre volte è la vita che ti rivoluziona, ti fa partire, ti scombina, ti sovverte e ti chiede comunque di riprovarci. Eh cazzo. Ecco la piccola rivoluzione, quella silenziosa, quella interiore.
E scegliere sempre e comunque. Il bene, il male. Il mio, il tuo, il suo. Il nostro. Scegliere a discapito di altri. Scegliere vuol dire soffrire. Crescere vuol dire soffrire. Ti chiedi perché ad un certo punto devi smettere di giocare con i lego. Perché si diventa grandi, dicono.
Ma si diventa grandi anche a 30 anni. L’influenza intestinale ti fa rimettere in discussione tutto. Quello che hai nella pancia, nel cuore, nel cervello, i tuoi sogni, i tuoi desideri. Sono ancora quelli? A chi menti? Menti a te stessa o menti solo agli altri?
Hai paura di dire, ma soprattutto di dirti, che i tuoi desideri sono cambiati. Non sono più quelli di un anno fa, forse nemmeno quelli di due anni fa.
Se sempre tu che cadi, sempre tu che ti rialzi, sempre tu che mandi affa tutto e tutti e dici “esisto solo io, voi tutti venite dopo”. Sei sempre tu che ami mettere due cose nello zaino e partire, che sia un giorno al mare o un anno dall’altro capo del mondo.
Però capita che a volte non te lo ricordi più. Chi sei. Perché tutti chiedono e pretendono e ti confondono, mentre tu perdi di vista i tuoi bisogni, che sono fondamentali. Sano egoismo. Sempre e comunque sano egoismo. Per non sentirsi in colpa se io sono cambiata, se lui è cambiato, se noi siamo cambiati. Se le carte sono di nuovo in tavola. Se c’è un gran casino. Perché è sempre un gran casino. È Mr Monopoli che gioca con le carte imprevisti. Valanghe, montagne di carte imprevisti che cadono dal cielo, nemmeno il tempo di difendersi. Perché altrimenti diventa come un’azienda di provincia non succede mai niente.
Invece sai che roba una vita che ti fa incazzare e di fa resuscitare mille volte, anche quando credi e senti che non hai più le forze per muoverti.
Il più bel regalo per il mio compleanno è stato proprio questo. Riuscire a non mentire a me stessa, anche causando sofferenza, ma io lo devo a me stessa, a tutte le piccole conquiste che ho fatto finora. Per tutte le volte che sono uscita indenne, magari barcollando, ma sempre con le mie sole forze.
Anche stavolta sono in piedi. Ed il mondo è ancora pieno di possibilità, di scelte da fare, felici e tristi. Non è ancora finita. Non è mai finita. Non si è mai finiti, basta avere fiducia.
Ovvero come sopravvivere in Italia dopo aver vissuto un anno e mezzo all'estero.
04 ottobre 2011
09 marzo 2011
stiamo tornando scimmie....in Italia
Otto mesi in Italia.
Il giusto tempo per prendere porte in faccia, per deprimersi, per voler scappare, per trovare una dimensione in cui stare bene, per rendersi conto sempre più di ciò che si vuole e di quello che conta veramente. Tempo anche per riflettere sulla “dimensione viaggio o altrove”, dove i bisogni sono diversi, i rapporti umani pure. Nel bene e nel male quella è una dimensione a sé, per lo più incomprensibile ai tuoi attuali compagni di banco, tanto che a volte per non sentire le solite storie (tipo perché mollare la strada sicura per l’incognito?ecc…) me ne vo a fare una passeggiata, bevo caffè al bar come non facevo da qualche anno. Mi guardo in giro e vedo traiettorie impazzite, vedo correre per arrivare (ma dove?) e vedo tante, tantissime, un mare…di paranoie mentali.
Chi ancora si butta su “è tutta colpa dell’euro” oppure sentire ogni discorso terminare con “colpa della crisi”. Di certo la situazione e l’atmosfera generale non ti portano a pensare alle margherite che sbocciano, ma nemmeno dovremmo alimentare il catastrofismo, dato dai fatti, dai tg e dalla politica.
Guardandomi in giro, lavorare nel 2011 in Italia, vuol dire spesso mettersi a 90°, perché “fuori c’è la crisi”, “menomale che hai un lavoro”, ammonizioni usate per calmare gli animi inquieti e ribelli, poi utilizzate a proprio piacimento dai datori di lavoro, i quali sanno benissimo che ti puoi incazzare e mandare a.f. tutti per situazioni assurde ed insopportabili, ma poi il giorno dopo, torni per tutto quello che dicevamo prima.
Per non parlare della concezione della donna, che tanto colora gossip e tg, ma che vivo ogni giorno al lavoro, quando in quantità femminile pari al 30%, trovo ancora sconcertante il trattamento riservatoci.
Si parte con frasi del tipo “Ma cosa vuoi che ne capisca una donna di questo campo?”, passando alle 4 categorie di donna sul posto di lavoro, che vediamo di seguito, con la quale si conclude che bastava un cromosoma in meno per evitare molti problemi.
SE SEI:
Brutta + Non brava: non vali niente, non hai nemmeno una carta da giocare.
Brutta + Brava: anche se lavori 14 ore al giorno e sei stimata, sei comunque un cesso e questo si colloca al primo posto della classifica.
Bella + Non brava: non serve che te la tiri, tanto non vali niente.
Bella + Brava: categoria top management, chissà a quanti hai dato il tuo tesoro per essere arrivata dove sei e via di soprannomi ed insulti.
In questa era paleolitica 2.0, c’è chi parla di rinnovamento, di rottamazione, di innovazione. Ho qualche dubbio, ma ci voglio credere, perché che io me ne vada o che resti (suspance…), si lotta perchè non è giusto che le facce da culo vincano sempre in questo mondo, Italia o Zimbawe.
Allo stesso tempo però l’uomo, inteso come essere umano italiano, ha ancora un sacco di strani schemi in testa, più in là non si va, perché fa comodo, perché fa ridere, perché fa fico, perché io ho potere oppure perchè semplicemente è iniziata la fase di sviluppo al contrario, questo è quello che siamo capaci di dare, limitati e limitanti e pian piano... stiamo tornando scimmie.
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